lunedì 5 gennaio 2009

The curious case of Benjamin Button. David Fincher


150 milioni di dollari sono stati investiti per quello che si preannuncia come uno dei film più attesi della stagione. Gli ingredienti sono decisamente intriganti, Fincher alla regia, Pitt protagonista, Cate Blanchett, un breve racconto di Fitzgerald alla base e poi, soprattutto, la storia. Benjamin è un bambino che nasce vecchio e, mentre tutti quelli intorno a lui invecchiano, lui ringiovanisce. Insomma gli ingredienti per essere un grande film ci sono davvero tutti e, innegabilmente, quello che ne è venuto fuori è un prodotto piuttosto affascinante ma, come dire, forse era lecito aspettarsi ancora di più. Soprattutto nella prima parte il film fatica a ingranare, il ritmo latita un pò e neanche Pitt riesce a risollevarlo. Meglio, decisamente, va nella seconda parte, o nella seconda e nella terza, dipende da come lo si vuol dividere, vista la durata di oltre due ore e mezzo, dove la storia riesce a funzionare sicuramente meglio e a risultare decisamente più intrigante. Viene sviluppato in modo decisamente più interessante il tema della diversità tra Benjamin e tutti gli altri, la sua presa di coscienza di non poter vivere una vita normale, la consapevolezza di dover godere al massimo di ogni situazione che la vita gli presenta, ma anche avendo la forza di rinunciare a molte gioie che una vita può riservare. La scelta dell'utilizzo del flashback non aiuta particolarmente lo sviluppo narrativo della pellicola, ma è funzionale a chiudere il cerchio sulla città in cui Benjamin vive la sua vita, la New Orleans che passa dalle magiche atmosfere degli anni venti al disastro dell'uragano Katrina. Di grandissimo livello l'interpretazione di Brad Pitt, qui giunto a una delle sue prove più mature e si può star certi che l'Academy apprezzerà le numerose trasformazioni del suo personaggio, aiutato da un trucco e da effetti speciali di eccellente livello. Meglio decisamente Pitt di Cate Blanchett, qui in una prova buona ma non eccelsa. Bravo, come al solito, Fincher, anche se il suo meglio lo ha dato in altre pellicole. Qui si ha come l'impressione che non sia il suo terreno, che la sua regia non riesca a incidere fino in fondo, che manchino trovate geniali, a parte in alcune eccellenti sequenze. Insomma nel complesso siamo di fronte a un ottimo film, confezionato magnificamente, scritto alla grande e interpretato benissimo, ma che comunque lascia un senso di vuoto, di incompiuto, gli manca un qualcosa che lo renda un capolavoro, gli manca la qualità che Fincher è riuscito a tirar fuori in film con un budget inferiore ma che erano probabilmente molto più suoi di quanto non sia questo.
8/10

domenica 4 gennaio 2009

The Wrestler. Darren Aronofsky


Le trame dei film di Aronofsky non sono mai state particolarmente lineari, anzi, tutto il contrario quindi di quello che succede in The Wrestler, leone d'oro al Festival di Venezia 2008. Randy "The Ram" Robinson è un wrestler a fine carriera. ha una figlia che non vede mai e come unica amica ha una lapdancer, della quale potrebbe pure innamorarsi. La sua vita procede senza acuti, con qualche lavoro scadente e qualche incontro finchè non avrà anche seri problemi di salute e dovrà scegliere come reimpostare la propria vita. Mickey Rourke è l'autentico dominatore della pellicola, protagonista assoluto, regala quella che è forse la migliore interpretazione della sua carriera con un'intensità e una bravura che finalmente riesce a dimostrare fino in fondo, aiutato anche da un'ottima regia di Aronofsky. Merito della sceneggiatura è quello di caratterizzare bene i personaggi, di farci capire anche in poco tempo, come nel caso della figlia, la loro personalità, senza giudicarli, presentandoceli in modo assolutamente vero e reale, senza banalizzazioni e sopratutto senza alcun patetismo. Oltre a uno straordinario Rourke, che merita l'Oscar, senza se e senza ma, molto positive sono anche Marisa Tomei e, seppur in pochissimo tempo Evan Rachel Wood. Visto che il film ha vinto il festival di Venezia quattro mesi viene da chiedersi che fine abbia fatto, dato che ancora non è annunciata alcuna uscita italiana, anche se forse è il caso di iniziare a preoccuparsi.
9,5/10

El orfanato. The orphanage. Juan Antonio Bayona


L'ennesima storiellina che mischia fiaba e horror, che cerca di spaventare senza eccedere, che non esagera coi colpi di scena e cerca un finale originale ma comunque straprevedibile. Così ho trovato The orphanage, noioso, prevedibile e nel complesso completamente inutile. Non ci ho visto nessuno spunto, da nessun punto di vista, che possa essere minimamente interessante. Eppure sapevo che era presentato da Guillermo del Toro, era quello l'indizio che mi doveva far capire che non dovevo neanche provare a vederlo.
4/10

Frost/Nixon. Ron Howard


Il ritorno alla regia di Ron Howard, dopo il poco riuscito Cinderella Man, affronta uno dei casi televisivi più importanti degli anni 70. L'intervista che il presidente dimissionario Richard Nixon rilasciò a David Frost, presentatore televisivo alle prese con la sua prima intervista politica. L'attesa per l'intervista era altissima, Nixon puntava a riabilitare la sua figura, Frost a creare uno spettacolo che attirasse il maggior numero di spettatori e che lanciasse definitivamente la sua carriera giornalistica. Il film segue nella prima parte la nascita dell'idea dell'intervista, con piccolissimi spunti documetaristici, ma comunque rimanendo quasi esclusivamente fiction, e ci presenta i personaggi, oltre a Frost e Nixon, anche i loro più stretti collaboratori, caratterizzandoli in modo però piuttosto approssimativo. La seconda parte è più incentrata sui quattro giorni di intervista, mentre spazio minore è concesso a quel che succede poco. La confezione di Howard è come al solito di spessore, la sceneggiatura, pur carente nelle caratterizzazioni di alcuni personaggi, è discreta, pur rimanendo piuttosto lineare e mai veramente in grado di coinvolgere in pieno lo spettatore. Nella sfida tra gli attori la vittoria spetta di sicuro a Frank Langella, che ci presenta un Richard Nixon che inizia a rendersi conto dei disastri della sua presidenza, non limitandosi ad imitarlo, ma anche riuscendo a reinterpretarlo. Bravo comunque anche Michael Sheen, anche se il suo David Frost non è certo indimenticabile. Bello, da sentire in originale, il gioco degli accenti, l'inglese di Frost e l'americano di Langella. Nel complesso un film abbastanza interessante, che ci offre un ritratto dell'America che entrerà da li a qualche anno nell'era di Reagan, parlandoci di una delle figure presidenziali più negative di sempre, almeno finchè non è arrivato George W.
6,5/10

Revolutionary Road. Sam Mendes


In Revolutionary Road ci sono due grandi ritorni, entrambi molto attesi. Quello principale, rivedere Leonardo Di Caprio e Kate Winslet lavorare assieme dieci anni dopo Titanic, e quello non meno rilevante di Sam Mendes, il quale torna al tema della crisi familiare, come nel suo capolavoro American Beauty, anche se qui cambia completamente ambientazione e tono del racconto, pur mantenendo un'evidente impostazione teatrale. In Revolutionary Road siamo nel 1955, Frank e April sono una giovane coppia con figli, benestante, anche se entrambi non amano le proprie vite. Il lavoro di Frank è noioso e April non ama dover stare a casa, frequentando soltanto amicizie noiose, senza che nella sua vita accada mai nulla di veramente interessante. Tutto potrebbe cambiare quando la coppia decide di lasciare tutto per cercare di andare in Europa. Dopo questa decisione la coppia sembra ritrovare il proprio feeling, da tempo perduto e April, che era quella più sofferente per la situazione, appare finalmente felice. Mendes si concentra soltanto su una piccola parte della vita dei protagonisti, piccoli flashback ci riportano a momenti felici del passato, ma sono momenti poco approfonditi. Si concentra sulla crisi, facendo affrontare i propri personaggi in duelli verbali costruiti magnificamente e nei quali gli attori danno il loro meglio. I dialoghi sono straordinariamente curati, la regia di Mendes è ottima, ma sono eccezionali le prove dei due protagonisti, sopratutto Kate Winlset, qui in una delle sue interpretazioni più intense e riuscite, ma anche Di Caprio è eccellente come al solito. Anche a livello tecnico il film eccelle, costumi, scenografia e fotografia sono di gran livello e anche la colonna sonora funziona piuttosto bene. Volendo cercare qualche pecca, ho trovato che la prima parte sia meno riuscita dell'intensissima ultima mezzora ed è forse questo che non fa arrivare il film al capolavoro, ma lo fa essere un film di eccezionale fattura, cui per una lunga parte manca un pò un'anima.
8/10