sabato 1 novembre 2008

Der Baader Meinhof komplex. La banda Baader Meinhof. Uli Edel.


Il film analizza il periodo 1967-1977, quando la Germania federale fu scossa e sconvolta, anche se all'inizio tanti erano i sostenitori, dalle azioni della Rote Armee Fraktion, Raf.
Peccato che però del film risaltino quasi esclusivamente i problemi e, se ci sono lati positivi, si fa davvero fatica a trovarli. La sceneggiatura mette moltissima carne al fuoco, cerca di raccontare il più possibile, ma alla fin fine viene fuori un minestrone insipido, incapace di approfondire e spiegare la situazione, e senza una interessante caratterizzazione dei personaggi. La scelta di Edel di usare pochi effetti speciali, luce naturale e camera a mano sembra anche giusta, ma non cambia il giudizio, che è quello di un film scritto male e poco interessante, sopratutto se non si conosce bene la storia.
Peccato, perchè il cinema tedesco negli ultimi anni aveva presentato vari ottimi lavori.
4/10

The devil wears Prada. Il diavolo veste Prada. David Frankel


La brava e promettente giornalista Andrea, nonostante fosse già stata accettata dall'università di Stanford, vi rinuncia per provare a lavorare nel mondo della carta stampata. L'inizio però non è dei più facili, viene infatti assunta nella prestigiosa rivista di moda "Runway", diretta da una delle donne più influenti e esigenti nel campo, Miranda Priestly.
Andy, dopo un primo periodo veramente duro, riuscirà a comprendere i meccanismi del suo lavoro e a dimostrare di essere in grado di soddisfare tutte le richieste di Miranda.
Il soggetto non è certo tra i più originali e anche la costruzione non si distacca dal deja-vu, però la pellicola ha indubbiamente un qualcosa in più, dato da uno scintillante cast, una serie di trovate piuttosto riuscite, il tutto ambientato in una cornice lussuosa.
Meryl Streep, eccezionale, e che si candida per l'ennesima nomination agli academy awards, mette in scena una donna in carriera, temuta e ripsettata, ma non per questo odiata, riuscendo nello stesso tempo anche a mettere in luce le fragilità di una personalità così forte e, come dice il titolo, diabolica.
Anne Hathaway, Stanley Tucci e Emily Blunt completano un cast molto ben affiatato, in cui la Blunt dimostra tutto quanto di buono aveva già fatto in My summer of love, la Hathaway funziona bene e Stanley Tucci è, anche se forse un pò troppo macchiettistico, straordinario e spassosissimo.
Forse un parziale punto debole può essere il resto dei personaggi, sciatti e quasi inutili, e protagonisti di tutte le situazioni più banali della pellicola.
Una New York splendida e frenetica fa da cornice alla pellicola, e bene sono evidenziati i ritmi caotici degli abitanti della grande mela.
Svavillante l'ambientazione, dal Rockfeller Center, dove si trova la redazione di Runway, passando per tutte le bellissime avenue, fino alla giusta inquadratura finale della città vista dall'alto.
6.5/10

Across the universe. Julie Taymor


Il musical non è propriamente un genere che mi attira. anzi, potendo preferisco sempre evitarlo. non so ma mai riesce a conquistarmi fino in fondo. diciamo anzi che più che altro mi annoia. Ma già moulin rouge era riuscito a impressionarmi molto favorevolmente e a farmi ricredere. Across the universe fa un passo in più, riesce a conquistarmi in pieno. Sarà il fatto, per una volta, di conoscere tutte le canzoni, che i protagonisti, chi bene chi meno, reinterpretano, sia il fatto che il film della Taymor, a parte una un pò strascicata parte centrale, funziona alla grande. All you need is love (?)
7.5/10

Cease to begin. Band Of Horses


gran bel disco il secondo dei band of horses. cease to begin, definito da Nme come un disco di rock intelligent, jangly e folkish, ci mette un paio di ascolti a entrarti in pieno in testa, ma una volta entrato conquista alla grande. folk, rock, pop, il genere non è importante, certo tanta tradizione americana si sente, ma il tutto in chiave molto moderna. sufjan stevens è probabilmente un gradino più in alto ma il trio di seattle si merita davvero tanti complimenti..
7/10

[Rec]. Jaume Balaguerò e Paco Plaza


Claustrofobico horror ambientato in una palazzina di Barcellona. Una troupe televisiva segue i vigili del fuoco in quella che sembra una nottata tranquilla. La giornalista e l'operatore sono convinti che sarà una notte piuttosto piatta e ci sarà il rischio di annoiare gli spettatori. Ma quando troupe e vigili del fuoco arrivano in una palazzina per aiutare una donna rimasta chiusa in casa si renderanno conto che qualcosa di strano sta succedendo. Film brevissimo, meno di un'ora e un quarto, ritmo serratissimo, uso della videocamera a mano simil Cloverfield, montaggio eccellente. Che la storia sia poco originale non interessa a nessuno, quel che conta è la resa sullo schermo. Bravissima la protagonista Manuela Velasco, giustamente premiata come miglior attrice esordeinte ai premi Goya.
8/10

Juno. Jason Reitman


L'opera seconda del figlio d'arte Jason Reitman, dopo il promettente Thank You For Smoking, è Juno, la storia di una sedicenne rimasta incinta e che decide, dopo qualche dubbio iniziale, di tenere il bambino per poi comunque affidarlo a quella che sembra la coppia perfetta. Giovani e belli, simpatici e intelligenti.
Le tematiche di Juno sono importanti, la gravidanza di una ragazzina, l'aborto, l'affidamento, l'incapacità di vivere il proprio ruolo di adulti, il rapporto tra genitori, naturali e non, e figli.
Per parlarci di tutto questo Reitman sceglie la commedia, molto più Little Miss Sunshine che Knocked Up (Molto Incinta), anche se richiami a entrambi le pellicole ce ne sono, affidandosi a una sceneggiatura ricchissima di spunti, battute e citazioni, dal collezionista di ossa a Dario Argento, riuscendo inoltre a inserire una colonna sonora accattivante e coinvolgente.
Il film non prende una posizione su argomenti in cui è troppo facile cadere sul piano soggettivo, non giudica, ci offre una visione, condivisibile o meno, di tutte le attualissime tematiche trattate.
E una scelta assolutamente vincente è quella di evitare le solite banali caratterizzazioni dei personaggi, evita i genitori "mostri", o un'opinione pubblica pronta a crocifiggere, come invece ci si attenderebbe in una piccola cittadina sperduta nel mezzo del Minnesota.
Ma ovviamente non tutto luccica nell'apparente felicità, quasi fiabesca, della situazione venutasi a creare; la coppia perfetta forse in effetti non è poi così perfetta, la sindrome da Peter Pan è sempre più tipica nella nostra società e il personaggio di Jason Bateman ne è afflitto in maniera evidente, fino a mostrare un feeling ben maggiore con Juno che non con la moglie.
Molto miele e molta furbizia diranno e avranno detto in tanti relativamente a Juno. Miele forse ce n'è, ma scavando è anche abbastanza amaro, furbizia forse, ma Reitman vince la sfida di far sorridere, e spesso ridere, parlando di attualità in modo semplice, evitando discorsi banali e creando una commedia deliziosa che più passa il tempo più si apprezza.
Tra i punti di forza del film, oltre la già citata ricchissima sceneggiatura di Diablo Cody, oscar meritato, e la colonna sonora, c'è l'ottima interpretazione di Ellen Page e il bel lavoro di tutti i comprimari, da Michael Cera all'ottimo J.K. Simmons, caratterista di gran livello e padre comprensivo di Juno. 9/10

There will be blood. Il petroliere. Paul Thomas Anderson.


L'America oggi si basa fondamentalmente su due aspetti; il petrolio e la religione. Il petrolio influisce sulla politica estera americana, influisce sulle elezioni americane, influisce sull'economia, visti i rincari dei prezzi che crescono anche e sopratutto a causa del costo del petrolio. I petrolieri sono potenti e cinici affaristi senza scupoli, pronti a sacrificare anche la propria patria e i propri compatrioti per i propri affari. Sono persone non interessate ai rapporti umani, sono interessati al denaro e al potere.
Oltre al petrolio in America c'è la fede, una fede che condiziona i comportamenti di tante persone, una fede cieca e, a volte, illogica. Una fede in cui tanti, troppi predicatori imbrogliano persone semplici e pronte a farsi condizionare da chi sia bravo a parlare.
L'America dei predicatori e dei petrolieri è l'America attuale ma anche quella del film di Anderson. La sua è una metafora violentissima e durissima di una nazione, di cui Anderson narra con una potenza feroce la storia moderna, usando alla perfezione i suoi grandissimi attori e creando un western horror atipico e terribilmente affascinante.
Non c'è qui il sogno americano, neanche per idea, al massimo l'incubo.
10/10

Elizabethtown. Cameron Crowe.


Un designer di successo vede fallire il suo progetto più importante. E lo stesso giorno muore il padre. Proprio a causa della morte del genitore deve andare a Elizabethtown dai parenti, persone che poco conosce e con cui ha molto poco a che fare. Durante il viaggio però conosce Claire, che lo aiuterà a riprendere fiducia in se stesso e nella vita. Poetico inno alla vita, Elizabethtown è un viaggio interiore e nelle proprie radici e nelle radici dell'America profonda. A tratti spassoso, a tratti tristissimo, commuove, lasciando sempre il sorriso in bocca. Una delle prove migliori di Cameron Crowe, si avvale di una colonna sonora eccellente e di un cast in gran forma.
8,5/10