mercoledì 17 giugno 2009

Free Iran


oggi è stata sicuramente una giornata un pò più tranquilla a Teheran. ieri i morti sono stati sette, oggi non dovrebbero essercene stati. Moussavi ha chiesto ai suoi sostenitori di restare calmi, il rischio di perdere la vita è infatti altissimo. comunque una manifestazione c'è stata anche oggi, silenziosa, davanti alla tv di stato e puntuali sono arrivate la foto da twitter. il tentativo del regime iraniano di escludere il resto del mondo da quanto accade al proprio interno si sta rivelando completamente inutile. si inizia anche finalmente a parlare di riconteggio, anche se parziale, delle schede. speriamo sia un primo passo per arrivare, finalmente, alla verità su queste elezioni. Marjane Satrapi e Mohsen Makhmalbaf, due registi iraniani tra i più famosi, hanno presentato la copia di un documento in cui si attesta che Moussavi ha preso 19.075.723 voti, 13.387.103 Mehdi Karrubi, ex presidente del Parlamento, e soltanto 5.698.000 a Mahmud Ahmadinejad. fosse vero, sarebbe la prova del colpo di stato e della distruzione della fortissima volontà di cambiamento del popolo iraniano, stanco dell'isolamento e delle costrizioni interne imposti da Ahmadinejad. dispiace però che in Italia poco si parli di quanto sta avvenendo in Iran, siamo sempre molto più interessati alle piccole beghe interne che contraddistinguono il nostro mediocre paese, al gossip e al calciomercato. e, naturalmente, non aiuta di certo il silenzio lancinante di parte dei politici italiani, anche se è comprensibile a destra, vista l'amicizia profonda dell'anticomunista Berlusconi con Putin. Positivo invece che il PD decida di scendere in piazza domani a Piazza Farnese a Roma, ma sembra sinceramente troppo poco.

lunedì 15 giugno 2009

Una nuova rivoluzione. Teheran giugno 15, 2009


mentre noi siam persi tra le solite sterili e noiose polemiche tra pseudosinistra e papidestra, quella che potrebbe diventare una rivoluzione sta nascendo tra le strade di Teheran, città da oltre dieci milioni di abitanti e capitale di una delle nazioni al centro della scena politica mondiale. l'Iran, senza dubbio alcuno, gioca un ruolo determinante negli equilibri attuali tra occidente e medioriente, e per Teheran passa qualsiasi tentativo di stabilizzazione dell'area. la situazione iraniana è particolare. l'Iran attuale è figlio della rivoluzione del 1979, quando venne rovesciato la Shah e si instaurò un governo islamico, ispirato dall'ayatollah Khomeyni. il presidente in Iran è solo una delle figure che governano la nazione. ci sono infatti anche una guida suprema e il consiglio dei guardiani, che hanno il compito di stabilire chi si può candidare alle presidenziali, che si svolgono ogni quattro anni. il consiglio dei guardiani ha anche il compito di valutare che le leggi siano conformi al Corano e la costituzionalità di ogni singola legge. dire quindi che il potere del Presidente sia elevato non sarebbe vero, appare quasi come una marionetta nelle mani del consiglio dei guardiani. ciò non toglie che un presidente come Ahmadinejad sia ben peggio di uno come Mousavi e il perchè è abbastanza chiaro. Ahmadinejad è un conservatore, facilmente manovrabile dal consiglio dei guardiani, con un background politico e culturale ben inferiore rispetto al suo avversario alle elezioni. Mousavi è un riformista, architetto e pittore, già presidente iraniano tra il 1981 e il 1989 ed è stato recentemente piuttosto critico con le alte sfere religiose iraniane. sicuramente sarebbe potuto essere un personaggio molto più scomodo e avrebbe portato avanti una linea politica decisamente discontinua rispetto a quella dell'ex sindaco di Teheran. per questi motivi c'è stato questo risultato elettorale. un risultato in grado di far deteriorare ulteriormente i rapporti tra mondo arabo e occidente, a meno di improbabili colpi di scena e ribaltoni del voto. ma, una cosa è molto importante segnalare. è una piccola speranza che arriva dalle strade di Teheran, dove oggi, nonostante il divieto, c'è stata la più grande manifestazione dal 1979. il New York Times parla di centinaia di migliaia di persone che, a rischio della propria vita, sono scese in piazza chiedendo che anche l'Iran possa diventare una nazione normale e che queste elezioni farsa siano annullate e il voto ripetuto. Mousavi è sceso in piazza insieme alla moglie e all'ex Presidente Khatami, inneggiati dalla folla. gli slogan di questa rivoluzione sono stati due, molto semplici. "where is my vote ?" e "i wrote Mousavi - they read Ahmadinejad", non a caso in inglese e non a caso ripetuti in tutte le manifestazioni che si sono svolte in tutto il mondo davanti alle ambasciate iraniane. il potere iraniano ha provato a bloccare le notizie e le immagini, a bloccare i cellulari e facebook. ma non è stato sufficiente, migliaia di foto della manifestazione sono arrivate, twitter ha avuto un ruolo fondamentale nel farle uscire da Teheran, e la speranza che la rivoluzione verde possa vincere, almeno per un attimo, ha preso piede.

giovedì 4 giugno 2009

He is my only President


I am honored to be in the timeless city of Cairo, and to be hosted by two remarkable institutions. For over a thousand years, Al-Azhar has stood as a beacon of Islamic learning, and for over a century, Cairo University has been a source of Egypt's advancement. Together, you represent the harmony between tradition and progress. I am grateful for your hospitality, and the hospitality of the people of Egypt. I am also proud to carry with me the goodwill of the American people, and a greeting of peace from Muslim communities in my country: assalaamu alaykum.  We meet at a time of tension between the United States and Muslims around the world - tension rooted in historical forces that go beyond any current policy debate. The relationship between Islam and the West includes centuries of co-existence and cooperation, but also conflict and religious wars. More recently, tension has been fed by colonialism that denied rights and opportunities to many Muslims, and a Cold War in which Muslim-majority countries were too often treated as proxies without regard to their own aspirations. Moreover, the sweeping change brought by modernity and globalization led many Muslims to view the West as hostile to the traditions of Islam.  Violent extremists have exploited these tensions in a small but potent minority of Muslims. The attacks of September 11th, 2001 and the continued efforts of these extremists to engage in violence against civilians has led some in my country to view Islam as inevitably hostile not only to America and Western countries, but also to human rights. This has bred more fear and mistrust. 
So long as our relationship is defined by our differences, we will empower those who sow hatred rather than peace, and who promote conflict rather than the cooperation that can help all of our people achieve justice and prosperity. This cycle of suspicion and discord must end.  I have come here to seek a new beginning between the United States and Muslims around the world; one based upon mutual interest and mutual respect; and one based upon the truth that America and Islam are not exclusive, and need not be in competition. Instead, they overlap, and share common principles - principles of justice and progress; tolerance and the dignity of all human beings.  I do so recognizing that change cannot happen overnight. No single speech can eradicate years of mistrust, nor can I answer in the time that I have all the complex questions that brought us to this point. But I am convinced that in order to move forward, we must say openly the things we hold in our hearts, and that too often are said only behind closed doors. There must be a sustained effort to listen to each other; to learn from each other; to respect one another; and to seek common ground. As the Holy Koran tells us, "Be conscious of God and speak always the truth." That is what I will try to do - to speak the truth as best I can, humbled by the task before us, and firm in my belief that the interests we share as human beings are far more powerful than the forces that drive us apart.  Part of this conviction is rooted in my own experience. I am a Christian, but my father came from a Kenyan family that includes generations of Muslims. As a boy, I spent several years in Indonesia and heard the call of the azaan at the break of dawn and the fall of dusk. As a young man, I worked in Chicago communities where many found dignity and peace in their Muslim faith.  As a student of history, I also know civilization's debt to Islam. It was Islam - at places like Al-Azhar University - that carried the light of learning through so many centuries, paving the way for Europe's Renaissance and Enlightenment. It was innovation in Muslim communities that developed the order of algebra; our magnetic compass and tools of navigation; our mastery of pens and printing; our understanding of how disease spreads and how it can be healed. Islamic culture has given us majestic arches and soaring spires; timeless poetry and cherished music; elegant calligraphy and places of peaceful contemplation. And throughout history, Islam has demonstrated through words and deeds the possibilities of religious tolerance and racial equality.  I know, too, that Islam has always been a part of America's story. The first nation to recognize my country was Morocco. In signing the Treaty of Tripoli in 1796, our second President John Adams wrote, "The United States has in itself no character of enmity against the laws, religion or tranquility of Muslims." And since our founding, American Muslims have enriched the United States. They have fought in our wars, served in government, stood for civil rights, started businesses, taught at our Universities, excelled in our sports arenas, won Nobel Prizes, built our tallest building, and lit the Olympic Torch. And when the first Muslim-American was recently elected to Congress, he took the oath to defend our Constitution using the same Holy Koran that one of our Founding Fathers - Thomas Jefferson - kept in his personal library.  So I have known Islam on three continents before coming to the region where it was first revealed. That experience guides my conviction that partnership between America and Islam must be based on what Islam is, not what it isn't. And I consider it part of my responsibility as President of the United States to fight against negative stereotypes of Islam wherever they appear.  But that same principle must apply to Muslim perceptions of America. Just as Muslims do not fit a crude stereotype, America is not the crude stereotype of a self-interested empire. The United States has been one of the greatest sources of progress that the world has ever known. We were born out of revolution against an empire. We were founded upon the ideal that all are created equal, and we have shed blood and struggled for centuries to give meaning to those words - within our borders, and around the world. We are shaped by every culture, drawn from every end of the Earth, and dedicated to a simple concept: E pluribus unum: "Out of many, one."  Much has been made of the fact that an African-American with the name Barack Hussein Obama could be elected President. But my personal story is not so unique. The dream of opportunity for all people has not come true for everyone in America, but its promise exists for all who come to our shores - that includes nearly seven million American Muslims in our country today who enjoy incomes and education that are higher than average.  Moreover, freedom in America is indivisible from the freedom to practice one's religion. That is why there is a mosque in every state of our union, and over 1,200 mosques within our borders. That is why the U. S. government has gone to court to protect the right of women and girls to wear the hijab, and to punish those who would deny it.  So let there be no doubt: Islam is a part of America. And I believe that America holds within her the truth that regardless of race, religion, or station in life, all of us share common aspirations - to live in peace and security; to get an education and to work with dignity; to love our families, our communities, and our God. These things we share. This is the hope of all humanity.  Of course, recognizing our common humanity is only the beginning of our task. Words alone cannot meet the needs of our people. These needs will be met only if we act boldly in the years ahead; and if we understand that the challenges we face are shared, and our failure to meet them will hurt us all.  For we have learned from recent experience that when a financial system weakens in one country, prosperity is hurt everywhere. When a new flu infects one human being, all are at risk. When one nation pursues a nuclear weapon, the risk of nuclear attack rises for all nations. When violent extremists operate in one stretch of mountains, people are endangered across an ocean. And when innocents in Bosnia and Darfur are slaughtered, that is a stain on our collective conscience. That is what it means to share this world in the 21st century. That is the responsibility we have to one another as human beings.  This is a difficult responsibility to embrace. For human history has often been a record of nations and tribes subjugating one another to serve their own interests. Yet in this new age, such attitudes are self-defeating. Given our interdependence, any world order that elevates one nation or group of people over another will inevitably fail. So whatever we think of the past, we must not be prisoners of it. Our problems must be dealt with through partnership; progress must be shared.  That does not mean we should ignore sources of tension. Indeed, it suggests the opposite: we must face these tensions squarely. And so in that spirit, let me speak as clearly and plainly as I can about some specific issues that I believe we must finally confront together.  The first issue that we have to confront is violent extremism in all of its forms.  In Ankara, I made clear that America is not - and never will be - at war with Islam. We will, however, relentlessly confront violent extremists who pose a grave threat to our security. Because we reject the same thing that people of all faiths reject: the killing of innocent men, women, and children. And it is my first duty as President to protect the American people.  The situation in Afghanistan demonstrates America's goals, and our need to work together. Over seven years ago, the United States pursued al Qaeda and the Taliban with broad international support. We did not go by choice, we went because of necessity. I am aware that some question or justify the events of 9/11. But let us be clear: al Qaeda killed nearly 3,000 people on that day. The victims were innocent men, women and children from America and many other nations who had done nothing to harm anybody. And yet Al Qaeda chose to ruthlessly murder these people, claimed credit for the attack, and even now states their determination to kill on a massive scale. They have affiliates in many countries and are trying to expand their reach. These are not opinions to be debated; these are facts to be dealt with.  Make no mistake: we do not want to keep our troops in Afghanistan. We seek no military bases there. It is agonizing for America to lose our young men and women. It is costly and politically difficult to continue this conflict. We would gladly bring every single one of our troops home if we could be confident that there were not violent extremists in Afghanistan and Pakistan determined to kill as many Americans as they possibly can. But that is not yet the case.  That's why we're partnering with a coalition of forty-six countries. And despite the costs involved, America's commitment will not weaken. Indeed, none of us should tolerate these extremists. They have killed in many countries. They have killed people of different faiths - more than any other, they have killed Muslims. Their actions are irreconcilable with the rights of human beings, the progress of nations, and with Islam. The Holy Koran teaches that whoever kills an innocent, it is as if he has killed all mankind; and whoever saves a person, it is as if he has saved all mankind. The enduring faith of over a billion people is so much bigger than the narrow hatred of a few. Islam is not part of the problem in combating violent extremism - it is an important part of promoting peace.  We also know that military power alone is not going to solve the problems in Afghanistan and Pakistan. That is why we plan to invest $1.5 billion each year over the next five years to partner with Pakistanis to build schools and hospitals, roads and businesses, and hundreds of millions to help those who have been displaced. And that is why we are providing more than $2.8 billion to help Afghans develop their economy and deliver services that people depend upon.  Let me also address the issue of Iraq. Unlike Afghanistan, Iraq was a war of choice that provoked strong differences in my country and around the world. Although I believe that the Iraqi people are ultimately better off without the tyranny of Saddam Hussein, I also believe that events in Iraq have reminded America of the need to use diplomacy and build international consensus to resolve our problems whenever possible. Indeed, we can recall the words of Thomas Jefferson, who said: "I hope that our wisdom will grow with our power, and teach us that the less we use our power the greater it will be."  Today, America has a dual responsibility: to help Iraq forge a better future - and to leave Iraq to Iraqis. I have made it clear to the Iraqi people that we pursue no bases, and no claim on their territory or resources. Iraq's sovereignty is its own. That is why I ordered the removal of our combat brigades by next August. That is why we will honor our agreement with Iraq's democratically-elected government to remove combat troops from Iraqi cities by July, and to remove all our troops from Iraq by 2012. We will help Iraq train its Security Forces and develop its economy. But we will support a secure and united Iraq as a partner, and never as a patron.  And finally, just as America can never tolerate violence by extremists, we must never alter our principles. 9/11 was an enormous trauma to our country. The fear and anger that it provoked was understandable, but in some cases, it led us to act contrary to our ideals. We are taking concrete actions to change course. I have unequivocally prohibited the use of torture by the United States, and I have ordered the prison at Guantanamo Bay closed by early next year.  So America will defend itself respectful of the sovereignty of nations and the rule of law. And we will do so in partnership with Muslim communities which are also threatened. The sooner the extremists are isolated and unwelcome in Muslim communities, the sooner we will all be safer.  The second major source of tension that we need to discuss is the situation between Israelis, Palestinians and the Arab world.  America's strong bonds with Israel are well known. This bond is unbreakable. It is based upon cultural and historical ties, and the recognition that the aspiration for a Jewish homeland is rooted in a tragic history that cannot be denied.  Around the world, the Jewish people were persecuted for centuries, and anti-Semitism in Europe culminated in an unprecedented Holocaust. Tomorrow, I will visit Buchenwald, which was part of a network of camps where Jews were enslaved, tortured, shot and gassed to death by the Third Reich. Six million Jews were killed - more than the entire Jewish population of Israel today. Denying that fact is baseless, ignorant, and hateful. Threatening Israel with destruction - or repeating vile stereotypes about Jews - is deeply wrong, and only serves to evoke in the minds of Israelis this most painful of memories while preventing the peace that the people of this region deserve.  On the other hand, it is also undeniable that the Palestinian people - Muslims and Christians - have suffered in pursuit of a homeland. For more than sixty years they have endured the pain of dislocation. Many wait in refugee camps in the West Bank, Gaza, and neighboring lands for a life of peace and security that they have never been able to lead. They endure the daily humiliations - large and small - that come with occupation. So let there be no doubt: the situation for the Palestinian people is intolerable. America will not turn our backs on the legitimate Palestinian aspiration for dignity, opportunity, and a state of their own.  For decades, there has been a stalemate: two peoples with legitimate aspirations, each with a painful history that makes compromise elusive. It is easy to point fingers - for Palestinians to point to the displacement brought by Israel's founding, and for Israelis to point to the constant hostility and attacks throughout its history from within its borders as well as beyond. But if we see this conflict only from one side or the other, then we will be blind to the truth: the only resolution is for the aspirations of both sides to be met through two states, where Israelis and Palestinians each live in peace and security.  That is in Israel's interest, Palestine's interest, America's interest, and the world's interest. That is why I intend to personally pursue this outcome with all the patience that the task requires. The obligations that the parties have agreed to under the Road Map are clear. For peace to come, it is time for them - and all of us - to live up to our responsibilities.  Palestinians must abandon violence. Resistance through violence and killing is wrong and does not succeed. For centuries, black people in America suffered the lash of the whip as slaves and the humiliation of segregation. But it was not violence that won full and equal rights. It was a peaceful and determined insistence upon the ideals at the center of America's founding. This same story can be told by people from South Africa to South Asia; from Eastern Europe to Indonesia. It's a story with a simple truth: that violence is a dead end. It is a sign of neither courage nor power to shoot rockets at sleeping children, or to blow up old women on a bus. That is not how moral authority is claimed; that is how it is surrendered.  Now is the time for Palestinians to focus on what they can build. The Palestinian Authority must develop its capacity to govern, with institutions that serve the needs of its people. Hamas does have support among some Palestinians, but they also have responsibilities. To play a role in fulfilling Palestinian aspirations, and to unify the Palestinian people, Hamas must put an end to violence, recognize past agreements, and recognize Israel's right to exist.  At the same time, Israelis must acknowledge that just as Israel's right to exist cannot be denied, neither can Palestine's. The United States does not accept the legitimacy of continued Israeli settlements. This construction violates previous agreements and undermines efforts to achieve peace. It is time for these settlements to stop.  Israel must also live up to its obligations to ensure that Palestinians can live, and work, and develop their society. And just as it devastates Palestinian families, the continuing humanitarian crisis in Gaza does not serve Israel's security; neither does the continuing lack of opportunity in the West Bank. Progress in the daily lives of the Palestinian people must be part of a road to peace, and Israel must take concrete steps to enable such progress.  Finally, the Arab States must recognize that the Arab Peace Initiative was an important beginning, but not the end of their responsibilities. The Arab-Israeli conflict should no longer be used to distract the people of Arab nations from other problems. Instead, it must be a cause for action to help the Palestinian people develop the institutions that will sustain their state; to recognize Israel's legitimacy; and to choose progress over a self-defeating focus on the past.  America will align our policies with those who pursue peace, and say in public what we say in private to Israelis and Palestinians and Arabs. We cannot impose peace. But privately, many Muslims recognize that Israel will not go away. Likewise, many Israelis recognize the need for a Palestinian state. It is time for us to act on what everyone knows to be true.  Too many tears have flowed. Too much blood has been shed. All of us have a responsibility to work for the day when the mothers of Israelis and Palestinians can see their children grow up without fear; when the Holy Land of three great faiths is the place of peace that God intended it to be; when Jerusalem is a secure and lasting home for Jews and Christians and Muslims, and a place for all of the children of Abraham to mingle peacefully together as in the story of Isra, when Moses, Jesus, and Mohammed (peace be upon them) joined in prayer.  The third source of tension is our shared interest in the rights and responsibilities of nations on nuclear weapons.  This issue has been a source of tension between the United States and the Islamic Republic of Iran. For many years, Iran has defined itself in part by its opposition to my country, and there is indeed a tumultuous history between us. In the middle of the Cold War, the United States played a role in the overthrow of a democratically-elected Iranian government. Since the Islamic Revolution, Iran has played a role in acts of hostage-taking and violence against U. S. troops and civilians. This history is well known. Rather than remain trapped in the past, I have made it clear to Iran's leaders and people that my country is prepared to move forward. The question, now, is not what Iran is against, but rather what future it wants to build.  It will be hard to overcome decades of mistrust, but we will proceed with courage, rectitude and resolve. There will be many issues to discuss between our two countries, and we are willing to move forward without preconditions on the basis of mutual respect. But it is clear to all concerned that when it comes to nuclear weapons, we have reached a decisive point. This is not simply about America's interests. It is about preventing a nuclear arms race in the Middle East that could lead this region and the world down a hugely dangerous path.  I understand those who protest that some countries have weapons that others do not. No single nation should pick and choose which nations hold nuclear weapons. That is why I strongly reaffirmed America's commitment to seek a world in which no nations hold nuclear weapons. And any nation - including Iran - should have the right to access peaceful nuclear power if it complies with its responsibilities under the nuclear Non-Proliferation Treaty. That commitment is at the core of the Treaty, and it must be kept for all who fully abide by it. And I am hopeful that all countries in the region can share in this goal.  The fourth issue that I will address is democracy.  I know there has been controversy about the promotion of democracy in recent years, and much of this controversy is connected to the war in Iraq. So let me be clear: no system of government can or should be imposed upon one nation by any other.  That does not lessen my commitment, however, to governments that reflect the will of the people. Each nation gives life to this principle in its own way, grounded in the traditions of its own people. America does not presume to know what is best for everyone, just as we would not presume to pick the outcome of a peaceful election. But I do have an unyielding belief that all people yearn for certain things: the ability to speak your mind and have a say in how you are governed; confidence in the rule of law and the equal administration of justice; government that is transparent and doesn't steal from the people; the freedom to live as you choose. Those are not just American ideas, they are human rights, and that is why we will support them everywhere.  There is no straight line to realize this promise. But this much is clear: governments that protect these rights are ultimately more stable, successful and secure. Suppressing ideas never succeeds in making them go away. America respects the right of all peaceful and law-abiding voices to be heard around the world, even if we disagree with them. And we will welcome all elected, peaceful governments - provided they govern with respect for all their people.  This last point is important because there are some who advocate for democracy only when they are out of power; once in power, they are ruthless in suppressing the rights of others. No matter where it takes hold, government of the people and by the people sets a single standard for all who hold power: you must maintain your power through consent, not coercion; you must respect the rights of minorities, and participate with a spirit of tolerance and compromise; you must place the interests of your people and the legitimate workings of the political process above your party. Without these ingredients, elections alone do not make true democracy.  The fifth issue that we must address together is religious freedom.  Islam has a proud tradition of tolerance. We see it in the history of Andalusia and Cordoba during the Inquisition. I saw it firsthand as a child in Indonesia, where devout Christians worshiped freely in an overwhelmingly Muslim country. That is the spirit we need today. People in every country should be free to choose and live their faith based upon the persuasion of the mind, heart, and soul. This tolerance is essential for religion to thrive, but it is being challenged in many different ways.  Among some Muslims, there is a disturbing tendency to measure one's own faith by the rejection of another's. The richness of religious diversity must be upheld - whether it is for Maronites in Lebanon or the Copts in Egypt. And fault lines must be closed among Muslims as well, as the divisions between Sunni and Shia have led to tragic violence, particularly in Iraq.  Freedom of religion is central to the ability of peoples to live together. We must always examine the ways in which we protect it. For instance, in the United States, rules on charitable giving have made it harder for Muslims to fulfill their religious obligation. That is why I am committed to working with American Muslims to ensure that they can fulfill zakat.  Likewise, it is important for Western countries to avoid impeding Muslim citizens from practicing religion as they see fit - for instance, by dictating what clothes a Muslim woman should wear. We cannot disguise hostility towards any religion behind the pretence of liberalism.  Indeed, faith should bring us together. That is why we are forging service projects in America that bring together Christians, Muslims, and Jews. That is why we welcome efforts like Saudi Arabian King Abdullah's Interfaith dialogue and Turkey's leadership in the Alliance of Civilizations. Around the world, we can turn dialogue into Interfaith service, so bridges between peoples lead to action - whether it is combating malaria in Africa, or providing relief after a natural disaster.  The sixth issue that I want to address is women's rights.  I know there is debate about this issue. I reject the view of some in the West that a woman who chooses to cover her hair is somehow less equal, but I do believe that a woman who is denied an education is denied equality. And it is no coincidence that countries where women are well-educated are far more likely to be prosperous.  Now let me be clear: issues of women's equality are by no means simply an issue for Islam. In Turkey, Pakistan, Bangladesh and Indonesia, we have seen Muslim-majority countries elect a woman to lead. Meanwhile, the struggle for women's equality continues in many aspects of American life, and in countries around the world.  Our daughters can contribute just as much to society as our sons, and our common prosperity will be advanced by allowing all humanity - men and women - to reach their full potential. I do not believe that women must make the same choices as men in order to be equal, and I respect those women who choose to live their lives in traditional roles. But it should be their choice. That is why the United States will partner with any Muslim-majority country to support expanded literacy for girls, and to help young women pursue employment through micro-financing that helps people live their dreams.  Finally, I want to discuss economic development and opportunity.  I know that for many, the face of globalization is contradictory. The Internet and television can bring knowledge and information, but also offensive sexuality and mindless violence. Trade can bring new wealth and opportunities, but also huge disruptions and changing communities. In all nations - including my own - this change can bring fear. Fear that because of modernity we will lose of control over our economic choices, our politics, and most importantly our identities - those things we most cherish about our communities, our families, our traditions, and our faith.  But I also know that human progress cannot be denied. There need not be contradiction between development and tradition. Countries like Japan and South Korea grew their economies while maintaining distinct cultures. The same is true for the astonishing progress within Muslim-majority countries from Kuala Lumpur to Dubai. In ancient times and in our times, Muslim communities have been at the forefront of innovation and education.  This is important because no development strategy can be based only upon what comes out of the ground, nor can it be sustained while young people are out of work. Many Gulf States have enjoyed great wealth as a consequence of oil, and some are beginning to focus it on broader development. But all of us must recognize that education and innovation will be the currency of the 21st century, and in too many Muslim communities there remains underinvestment in these areas. I am emphasizing such investments within my country. And while America in the past has focused on oil and gas in this part of the world, we now seek a broader engagement.  On education, we will expand exchange programs, and increase scholarships, like the one that brought my father to America, while encouraging more Americans to study in Muslim communities. And we will match promising Muslim students with internships in America; invest in on-line learning for teachers and children around the world; and create a new online network, so a teenager in Kansas can communicate instantly with a teenager in Cairo.  On economic development, we will create a new corps of business volunteers to partner with counterparts in Muslim-majority countries. And I will host a Summit on Entrepreneurship this year to identify how we can deepen ties between business leaders, foundations and social entrepreneurs in the United States and Muslim communities around the world.  On science and technology, we will launch a new fund to support technological development in Muslim-majority countries, and to help transfer ideas to the marketplace so they can create jobs. We will open centers of scientific excellence in Africa, the Middle East and Southeast Asia, and appoint new Science Envoys to collaborate on programs that develop new sources of energy, create green jobs, digitize records, clean water, and grow new crops. And today I am announcing a new global effort with the Organization of the Islamic Conference to eradicate polio. And we will also expand partnerships with Muslim communities to promote child and maternal health.  All these things must be done in partnership. Americans are ready to join with citizens and governments; community organizations, religious leaders, and businesses in Muslim communities around the world to help our people pursue a better life.  The issues that I have described will not be easy to address. But we have a responsibility to join together on behalf of the world we seek - a world where extremists no longer threaten our people, and American troops have come home; a world where Israelis and Palestinians are each secure in a state of their own, and nuclear energy is used for peaceful purposes; a world where governments serve their citizens, and the rights of all God's children are respected. Those are mutual interests. That is the world we seek. But we can only achieve it together.  I know there are many - Muslim and non-Muslim - who question whether we can forge this new beginning. Some are eager to stoke the flames of division, and to stand in the way of progress. Some suggest that it isn't worth the effort - that we are fated to disagree, and civilizations are doomed to clash. Many more are simply skeptical that real change can occur. There is so much fear, so much mistrust. But if we choose to be bound by the past, we will never move forward. And I want to particularly say this to young people of every faith, in every country - you, more than anyone, have the ability to remake this world.  All of us share this world for but a brief moment in time. The question is whether we spend that time focused on what pushes us apart, or whether we commit ourselves to an effort - a sustained effort - to find common ground, to focus on the future we seek for our children, and to respect the dignity of all human beings.  It is easier to start wars than to end them. It is easier to blame others than to look inward; to see what is different about someone than to find the things we share. But we should choose the right path, not just the easy path. There is also one rule that lies at the heart of every religion - that we do unto others as we would have them do unto us. This truth transcends nations and peoples - a belief that isn't new; that isn't black or white or brown; that isn't Christian, or Muslim or Jew. It's a belief that pulsed in the cradle of civilization, and that still beats in the heart of billions. It's a faith in other people, and it's what brought me here today.  We have the power to make the world we seek, but only if we have the courage to make a new beginning, keeping in mind what has been written.  The Holy Koran tells us, "O mankind! We have created you male and a female; and we have made you into nations and tribes so that you may know one another."  The Talmud tells us: "The whole of the Torah is for the purpose of promoting peace."  The Holy Bible tells us, "Blessed are the peacemakers, for they shall be called sons of God."  The people of the world can live together in peace. We know that is God's vision. Now, that must be our work here on Earth. Thank you. And may God's peace be upon you. 
BARACK OBAMA, Cairo, June, 4th, 2009

martedì 2 giugno 2009

sull'isola deserta


ogni tanto penso a quali film mi porterei stasera sulla fantomatica isola deserta. quei dieci film che dovresti avere il tempo di scegliere poco prima di trasferirti in un angolo sperduto del mondo. beh di solito, dopo averne scelto 3 o 4 smetto, però stavolta ho voglia di finire la meravigliosa lista. si, ovviamente ci sarebbe lost in translation, è abbastanza evidente, uso immagini prese da quel film continuamente sul blog. beh elizabethtown sarebbe già in valigia, il mio lato cinico-romantico(?) ne avrebbe bisogno.. qualcosa di orientale ci sarebbe di sicuro, ferro 3 verrebbe con me, insieme a mr.vendetta. i posti rimasti sono dunque 6. shyamalan me lo vorrei portare, ma anche raimi. e naturalmente allen. tarantino forse no, potrei pensare a pulp fiction, non certo al strasopravvalutato kill bill. comunque non ho ancora deciso. intanto prendo viale del tramonto, non vorrei dimenticarlo nella fretta, e lo metto a fianco a jules e jim. indeciso tra molti film mi prendo anche tutto su mia madre e ritorno al futuro. la trilogia intera. non potete chiedermi di sceglierne uno. mancano due posti, forse nell'isola deserta ci sarebbe anche bisogno di divertirsi, ma decido comunque di prendere i figli degli uomini. adesso arriva il difficile, c'è fretta, bisogna partire e, sopratutto c'è spazio per un solo film. opto per the queen, perchè Frears è un regista fantastico e perchè forse sono ancora un pò british. anche se sempre meno. e, come ogni volta che provo a fare questa lista, ci ripenso e mi rendo conto di quanti film ho dimenticato. e, mi dico, per fortuna è solo un gioco.

lunedì 1 giugno 2009

whisper


sarebbe più logico stupirsi quando si incontra una persona con cui è impossibile riuscire a scambiare due parole. purtroppo invece ormai succede esclusivamente il contrario. ci si stupisce, o almeno io lo faccio,  solo quando si incontra una persona con tantissime cose da dire.  sono ormai le persone più rare.

domenica 31 maggio 2009

seattle


quando ero piccolo volevo fondamentalmente visitare due città. New York e Seattle. la prima destinazione è anche piuttosto logica. moltissime persone sono incuriosite da una metropoli immensa, sconfinata e dai palazzi così alti come è New York. molto meno logico è invece voler andare a Seattle. perchè un bambino vorrebbe andare in una fredda città ai confini col Canada, nove ore di fuso orario dall'Italia, senza particolari cose da fare o da vedere ? un qualcosa senza alcun senso. però ricordo un'immagine in un film, ambientato a Seattle, credo fosse Piccolo Buddha di Bertolucci, in cui i protagonisti arrivavano in città e vedevano all'improvviso comparire i grattacieli di downtown con dietro lo space needle e i monti e la baia sullo sfondo. era un'immagine che mi era rimasta in mente. a marzo quella stessa immagine me la son rivista all'improvviso, dietro una curva, nell'autostrada a cinque corsie che dall'aeroporto arriva in città. per un attimo mi son rivisto tanti anni indietro. e per cinque giorni ho apprezzato quella fredda e bellissima città ai confini con il Canada. non ho però ancora capito perchè è da quindici anni che ci volessi andare. e, ancora meno capisco perchè ci vorrei tornare tantissimo.

sabato 23 maggio 2009

Europee. 2 settimane dal voto.


Mancano due settimane alle elezioni più scontate che si ricordino da molti anni a questa parte. Tutti i sondaggi per le Europee 2009 indicano che il Pdl vincerà, e lo farà di gran lunga, la contesa elettorale, annichilendo tutto e tutti. Non è mia intenzione stare qui a concentrarmi su quelli che siano i motivi di questa sicura vittoria, sono dati di fatto che l'attuale Premier sia una figura profondamente amata in Italia e che gli italiani si fidino ciecamente di lui. Dato che io però non voto per quella parte politica, nè Pdl, nè Lega, nè naturalmente Udc, devo ogni volta trovare il simbolo da scegliere tra quelli proposti dalla forze di opposizione allo strapotere BerlusconBossianVaticano. Per chi infatti vuole un'Italia multietnica, laica, dove i diritti civili esistano e siano rispettati, è un pò complesso pensare di poter scegliere la pseudodestra italica. Comunque, per una volta, ho deciso, di non pensare a voti utili e stronzate simili ma di valutare le posizioni dei partiti su una serie di temi, quindi i temi che più mi interessano e che sarei felice se i partiti perseguissero nella loro attività, una volta eletti. Anche perchè siamo di fronte a un'elezione Europea, non dobbiamo scegliere chi ci governerà a Roma, anche se molti sembra che non l'abbiano capito. Io al centro della mia attenzione metterei Europa, diritti civili e ricerca. Europa, la mia posizione è piuttosto semplice, fondamentalmente utopica. Io sono assolutamente a favore degli Stati Uniti d'Europa, uno Stato federale, che persegua una politica comune, non 27 o più politiche diverse. Ed è questo inevitabile in un mondo dove ci sono delle grandissime potenze come gli Usa, l'India e la Cina. L'unico modo per continuare ad avere una propria voce in questo mondo è creare una vera nazione forte e, sopratutto, unita. E, senza dubbio alcuno, allargando l'Europa in due direzioni, Turchia e Israele.
Diritti civili, coppie di fatto, matrimoni gay sono in Italia argomenti tabù. Nonostante siamo rimasti in Occidente l'unico baluardo della resistenza VatiTaliban nei confronti della pari dignità delle persone, poche voci si alzano a favore di un sacrosanto riconoscimento all'uguaglianza delle persone. Per non parlare del fatto che in Italia esistano delle leggi abominevoli, come la legge 40, che giustamente fu oggetto di referendum abrogativo, fatto fallire dall'ipocrisia della pseudodestra e dal poco coinvolgimento dell'altra parte o l'impossibilità di fare delle leggi necessarie e umane come quelle sul testamento biologico o l'eutanasia.
Di conseguenza la ricerca diventa un qualcosa di poco rilevante e l'Italia è in fondo in tutte le classifiche relative a quanto si investe per la ricerca, la scuola pubblica e l'università.
Naturalmente, in una nazione così poco interessata alla modernità e bloccata nel conservatorismo partitocratico, che nega persino la possibilità a noi elettori di scegliere chi dovrà rappresentarci, le voci che più di tutte sono attente a questi aspetti pericolosi sono messe a tacere. Solo coraggiose lotte non violente, portate avanti da migliaia di persone, e l'attenzione del Presidente della Repubblica hanno fatto si che anche i Radicali potessero comunicare agli italiani di essere presenti a queste elezioni europee.
Quali potrebbero essere le alternative ? Il PD, il partito che finora è stato completamente incapace di proporre qualsiasi rinnovamento ? Il PD che, nonostante si presenti come una preziosa novità, e su questo sono assolutamente convinto, non riesce a proporre nulla di veramente innovativo, mantenendo al proprio interno personaggi come Rutelli o Paola Binetti, personaggi perfetti per uno Stato etico, certo non laico. L'IDV ? Impossibile non essere d'accordo con le battaglie per la legalità di Di Pietro e co., impossibile non essere d'accordo con le posizioni antiPremier espresse dal partito, peccato che però manchino le proposte, sopratutto proposte che potrebbero dimostrare che l'IDV sia non solo un partito antiBerlusconi ma anche un partito dell'area progressista italiana. Non mi soffermo su Rifondazione+Pdci, la riproposizione della falce e del martello, l'incapacità di capire che il muro a Berlino è finalmente caduto e che nel calendario c'è scritto 2009, mi porta a non prenderli neanche lontanamente in considerazione. Più interesse c'è, è innegabile, per Sinistra e Libertà. Vendola ha finalmente capito che è inutile continuare a ostinarsi a vivere nel passato, è uscito fuori dalla lotta dura e pura, senza se e senza ma, dalla ridicolaggine di Rifondazione del 2009. Peccato che si sia attorniato da loschi figuri come i Socialisti o i Verdi. Ma Vendola è in gamba, è attento alla società del 2009, può crescere e può essere la vera, e forse unica sinistra del PD. Ma in queste elezioni non convince fino in fondo. Cosa rimane ? Rimangono le lotte dei Radicali, di Marco Cappato, Emma Bonino, Marco Pannella, Rita Bernardini, Maria Antonietta Coscioni. Le lotte di un partito che, nonostante le molteplici difficoltà e i pochissimi spazi a disposizione, continua a battersi perchè l'Italia sia uno stato laico e non etico, perchè l'Europa sia una nazione e non un aggregato di patrie litigiose, perchè la scuola sia pubblica e perchè ciascuno possa essere veramente libero di vivere e morire come gli pare. Per questo il 6 e il 7 giugno penso che la soluzione migliore sia votare Radicale, perchè i Radicali sono questa volta, più di sempre, la voce più scomoda e libera della politica italiana.

we play endlessly


ogni tanto è necessario spegnere il cervello, smettere di pensare, smettere di preoccuparsi, iniziare a immaginare qualcosa di bello. è assolutamente necessario. tutti quanti ne hanno bisogno, e io proprio come tutti gli altri. e se in quel momento iniziano i Sigur Ros a suonare nel tuo lettore tutto diventa più facile

musica


Negli ultimi giorni mi sono imbattuto in una serie di nuovi album e ammetto alcuni di questi li sto anche trovando piuttosto interessanti.. Sopratutto Patrick Wolf. Anzi, Patrick Wolf potrei quasi dire che mi sta veramente meravigliando.
comunque, facciamo un pò d'ordine.
Questi sono i dischi che sto alternando nel mio lettore.
E Patrick Wolf dovreste davvero ascoltarlo. Tutti.
Patrick Wolf - The bachelor.
Pet shop boys - yes.
Modest Mouse - Good news for people who love bad news.
Modest Mouse - We were dead before the ship even sank
The Postal service - The Postal Service

lunedì 27 aprile 2009

what's happening in the world ?


la notizia di questi giorni è che pare sia possibile una pandemia nel mondo. un'influenza suina sta per fare migliaia (milioni ?) di vittime. si annunciano casi in tutto il messico, gli stati uniti, spagna, nuova zelanda, francia. cosa ci sia di vero non si sa, quanto i media stiano pompando la notizia neppure, rimane il fatto che qualche dubbio, più che legittimo, emerge in ognuno di noi. staremo a vedere. negli ultimi mesi invece il grande argomento è stata la crisi. tutti sono in crisi, le banche falliscono, le azioni crollano, le esportazioni pure, la disoccupazione aumenta. ed è tutto vero purtroppo. in Italia si sta ovviamente provando a dire che la crisi è ormai al tramonto, che già si vede la ripresa. peccato che lo si dica solo in Italia. ma questo è irrilevante. più o meno come l'Italia nella scena politico-economica mondiale. nei giorni scorsi c'è stata la conferenza sul razzismo dell'onu. molti paesi, quali Italia e Usa hanno disertato. Ahmadinejad (presidente dell'Iran) ha potuto lanciare i suoi soliti strali contro Israele dal palco della conferenza. i paesi europei sono usciti dalla sala, il Vaticano ha condannato ma è rimasto. forse incalzarlo con qualche intervento non sarebbe stata una scelta così sbagliata. invece è riuscito a prendersi il suo solito momento di notorietà ed è tornato, almeno così si dice, in Iran, da eroe. oggi, invece, ha miracolosamente iniziato a parlare della possibilità che ci possano essere due Stati, Israele e la Palestina, aprendo finalmente alla possibilità che il suo paese riconosca Israele. meglio tardi che mai ?. forse si. ma se dall'altra parte ci si trova come primo ministro Benjamin Netanyahu purtroppo c'è molto poco da essere ottimisti. altri scenari catastrofici ci sono stati annunciati dalla Corea del Nord, dove un pseudo missile è stato lanciato. missile in grado di arrivare fino negli Usa ? satellite televisivo ? queste le due versioni. l'unica cosa certa è che continua ad esserci un paese, la Corea, senza distinzione tra nord e sud, che da oltre 60 anni è divisa in due, nonostante i coreani siano un unico popolo e l'unica cosa importante è che vengano riunificati al più presto. ma, purtroppo, non sembra ancora giunto il momento. queste di cui ho appena parlato sono alcune delle brutte notizie di questi mesi. certo non le uniche. ci sono anche i pirati, l'ennesima tragedia dei migranti nel mare tra l'Africa e l'Italia. e, ovviamente, la tragedia, almeno per noi italiani, più grande. il terremoto in Abruzzo. trovo quantomeno fastidioso stare a polemizzare. due sono adesso le cose importanti. la ricostruzione e indagare quali siano state la cause. perchè è inutile ricostruire senza approfondire. e chi dice che i giornali dovrebbero parlare solo della ricostruzione e non parlare del perchè sia successo tutto quanto non rende un bel servizio alla sua nazione. mi chiedevo poi se fosse anche, per sbaglio, successo qualcosa di positivo nel mondo. e spulciando in giro ho notato che qualcosa si vede. per esempio, Obama sta iniziando ad allegerire la pressione su Cuba, negli Stati Uniti aumentano gli stati nei quali sono ammessi i matrimoni gay e il New Mexico ha abolito la pena di morte, divenendo il quindicesimo stato Usa ad averlo fatto. piccole notizie, piccoli passi avanti verso un mondo meno in guerra e più tollerante.

domenica 26 aprile 2009

riflessione fastidiosa


ieri era il 25 aprile. Festa della Liberazione. non, come qualcuno vorrebbe chiamarla, festa della libertà. a quel punto mettiamoci pure festa del popolo delle libertà e il gioco è fatto. ma comunque non è questo il punto. il punto è che al termine della manifestazione qui a cagliari, tra i tanti vessilli presenti in piazza, non sono mancate le solite bandiere inopportune(?), sbagliate(?), inconcepibili(?). sinceramente presenziare alla Festa della Liberazione con le bandiere della DDR o dell'Unione Sovietica l'ho trovato quantomeno illogico. festeggiare la liberazione da una dittatura con le bandiere di altre dittature è, imho, ridicolo.

lost in translation, re-opening the blog


è passato molto tempo dall'ultimo post che ho scritto per questo piccolo e, chissà, forse inutile blog. era comunque da un pò che stavo pensando di rimettermi a scrivere qualcosa. era da un pò che cercavo un qualche tipo di ispirazione, ispirazione che tardava sicuramente ad arrivare. e non che adesso sia definitivamente arrivata, ma comunque ho deciso che fosse il caso di aggiornare. che dire, questi ultimi mesi sono stati velocissimi, non posso negare che siano successe molte cose, da una laurea a un viaggio, al conoscere nuovi posti e nuove persone, alle decisioni da prendere e che ancora non sono state prese e chissà quando alla fine saranno prese.. l'immagine è presa da un film che per me è molto importante, la trovo calzante, per molti motivi.

domenica 22 febbraio 2009

Viva l'Italia. Viva il piddì


In Italia viene condannato Mills, perchè è stato corrotto dal primo ministro italiano. Il primo ministro però non può essere condannato in quanto vi è una legge che prevede l'inpunità per le più alte cariche dello stato. E' comunque evidente che se c'è un corrotto c'è anche un corruttore. Le uniche dimissioni avvenute nei giorni della sentenza non sono ovviamente quelle del primo ministro ma quelle del leader del principale partito di opposizione. Sono dimissioni naturalmente non collegate, ma fanno comunque sorridere. Fa meno sorridere la deriva del Partito (anti)Democratico. Si dimette il segretario, Veltroni, il quale ammette che sono stati fatti tanti errori. Il passo successivo allora qual'è ? Giustamente un altro errore. Eleggere segretario il vice di Veltroni, il quale era probabilmente responsabile degli stessi errori. Una grande ventata di novità, non c'è che dire. E il gruppo dirigente sempre al suo posto. Che tristezza.

giovedì 22 gennaio 2009

Doubt. John Patrick Stanley


Stati Uniti, anni 60, in una scuola gestita da suore una di esse sospetta che il prete, molto amato dai fedeli e dagli studenti, possa aver abusato di uno degli studenti, un ragazzino di colore. Quella che per lei è una certezza, non sembra però esserlo altrettanto per le altre persone coinvolte nella vicenda. La splendida sceneggiatura di John Patrick Stanley ruota attorno al concetto di dubbio, i dubbi della giovane Sister James sulla colpevolezza del prete, le certezze, ma non si capisce quanto reali, di Sister Aloysius. Certezze che lei vorrebbe riuscire a trasmettere, forse per superare i dubbi, che anche lei inevitabilmente ha. In modo complesso e articolato la sceneggiatura di Stanley racconta una storia terribile ma semplice e offre un piccolo ma significativo spaccato dell'America che sta uscendo dall'omicidio di JFK, i neri e gli immigrati, le chiese stracolme, una nazione benestante ma piena di incertezze. Il lavoro dei tre protagonisti è superbo, la Streep su tutti, Seymour Hoffman forse il meno incisivo, mentre Amy Adams si conferma bravissima in un ruolo non semplice. Inserita tra i due "avversari", è il personaggio forse più puro, ma di sicuro quello più ingenuo e forse con più dubbi. Intensissima è Viola Davis, la mamma del bambino di colore, in pochissimo tempo delinea un personaggio profondamente complesso, difficilissimo, che si trova, a proprio malgrado, in una situazione da cui vuole uscire, al più presto e in ogni modo, e tutta la difficoltà della situazione è messa in scena in modo splendido dalla Davis, che tiene testa alla Streep in una delle sequenze più belle della pellicola. Nel complesso un film riuscitissimo, importante, che evita giudici semplicistici, pur nell'attualità della situazione, scritto e interpretato in modo magnifico.
9/10

The reader. Stephen Daldry


Ci mancava, in effetti, un film in cui si parlasse di nazismo, non ne avevamo visto già abbastanza. Qui però, bisogna riconoscerlo, si parla si di nazismo si, ma alla fine questa problematica passa in secondo piano rispetto a quello che è il punto centrale della pellicola, il rapporto, inizialmente morboso, tra un ragazzo e un'ex ufficiale nazista, Michael e Hannah. I due si conoscono per caso, lei aiuta lui una sera che si è sentito male nell'androne del suo palazzo. Il ragazzo torna, dopo qualche tempo, per ringraziare la donna e, quasi da subito, nasce tra loro una relazione fatta di sesso e lettura. Lui legge per lei, dall'Odissea a Lady Chatterlay, lei lo ascolta, piange, ride, si emoziona. Questo idillio, sempre sul punto di scoppiare, all'improvviso si spezza, lei infatti sparisce, all'improvviso, senza dire una parola. Lui non riesce a dimenticarla e, una volta che la rivedrà, quando da studente di legge parteciperà alle udienze che la vedono coinvolta, si renderà conto di quanto lei abbia segnato la sua vita. La prima parte è decisamente la più riuscita, il rapporto tra i due, pur senza particolari spiegazioni, è ben raccontato da Daldry e, anche grazie a un'eccellente Winslet, l'impressione di trovarsi dinnanzi a un bell'affresco è evidente. Terminata questa prima fase, con la fine del loro rapporto, finisce la prima parte del film e inizia la seconda, molto più lunga, didascalica, ripetitiva e, fondamentalmente scontata. La sceneggiatura non scava dentro i personaggi, non approfondisce i ruoli, ad esempio la sua famiglia, è evidente che tutta la vita di Oskar è stata influenzata dalla relazione con Hannah, ma tutto è detto in modo assolutamente superficiale. La confezione è comunque buona, il livello tecnico è di livello, e la prova di Kate Winslet, dominatrice e protagonista assoluta della pellicola è, come al solito di livello altissimo. Daldry dirige senza alcun acuto, senza rischiare nulla, fa bene il suo compito, peccato che sia comunque un compito appena sufficiente, quando il materiale a disposizione poteva dare di sicuro qualcosa in più.
5,5/10

lunedì 5 gennaio 2009

The curious case of Benjamin Button. David Fincher


150 milioni di dollari sono stati investiti per quello che si preannuncia come uno dei film più attesi della stagione. Gli ingredienti sono decisamente intriganti, Fincher alla regia, Pitt protagonista, Cate Blanchett, un breve racconto di Fitzgerald alla base e poi, soprattutto, la storia. Benjamin è un bambino che nasce vecchio e, mentre tutti quelli intorno a lui invecchiano, lui ringiovanisce. Insomma gli ingredienti per essere un grande film ci sono davvero tutti e, innegabilmente, quello che ne è venuto fuori è un prodotto piuttosto affascinante ma, come dire, forse era lecito aspettarsi ancora di più. Soprattutto nella prima parte il film fatica a ingranare, il ritmo latita un pò e neanche Pitt riesce a risollevarlo. Meglio, decisamente, va nella seconda parte, o nella seconda e nella terza, dipende da come lo si vuol dividere, vista la durata di oltre due ore e mezzo, dove la storia riesce a funzionare sicuramente meglio e a risultare decisamente più intrigante. Viene sviluppato in modo decisamente più interessante il tema della diversità tra Benjamin e tutti gli altri, la sua presa di coscienza di non poter vivere una vita normale, la consapevolezza di dover godere al massimo di ogni situazione che la vita gli presenta, ma anche avendo la forza di rinunciare a molte gioie che una vita può riservare. La scelta dell'utilizzo del flashback non aiuta particolarmente lo sviluppo narrativo della pellicola, ma è funzionale a chiudere il cerchio sulla città in cui Benjamin vive la sua vita, la New Orleans che passa dalle magiche atmosfere degli anni venti al disastro dell'uragano Katrina. Di grandissimo livello l'interpretazione di Brad Pitt, qui giunto a una delle sue prove più mature e si può star certi che l'Academy apprezzerà le numerose trasformazioni del suo personaggio, aiutato da un trucco e da effetti speciali di eccellente livello. Meglio decisamente Pitt di Cate Blanchett, qui in una prova buona ma non eccelsa. Bravo, come al solito, Fincher, anche se il suo meglio lo ha dato in altre pellicole. Qui si ha come l'impressione che non sia il suo terreno, che la sua regia non riesca a incidere fino in fondo, che manchino trovate geniali, a parte in alcune eccellenti sequenze. Insomma nel complesso siamo di fronte a un ottimo film, confezionato magnificamente, scritto alla grande e interpretato benissimo, ma che comunque lascia un senso di vuoto, di incompiuto, gli manca un qualcosa che lo renda un capolavoro, gli manca la qualità che Fincher è riuscito a tirar fuori in film con un budget inferiore ma che erano probabilmente molto più suoi di quanto non sia questo.
8/10

domenica 4 gennaio 2009

The Wrestler. Darren Aronofsky


Le trame dei film di Aronofsky non sono mai state particolarmente lineari, anzi, tutto il contrario quindi di quello che succede in The Wrestler, leone d'oro al Festival di Venezia 2008. Randy "The Ram" Robinson è un wrestler a fine carriera. ha una figlia che non vede mai e come unica amica ha una lapdancer, della quale potrebbe pure innamorarsi. La sua vita procede senza acuti, con qualche lavoro scadente e qualche incontro finchè non avrà anche seri problemi di salute e dovrà scegliere come reimpostare la propria vita. Mickey Rourke è l'autentico dominatore della pellicola, protagonista assoluto, regala quella che è forse la migliore interpretazione della sua carriera con un'intensità e una bravura che finalmente riesce a dimostrare fino in fondo, aiutato anche da un'ottima regia di Aronofsky. Merito della sceneggiatura è quello di caratterizzare bene i personaggi, di farci capire anche in poco tempo, come nel caso della figlia, la loro personalità, senza giudicarli, presentandoceli in modo assolutamente vero e reale, senza banalizzazioni e sopratutto senza alcun patetismo. Oltre a uno straordinario Rourke, che merita l'Oscar, senza se e senza ma, molto positive sono anche Marisa Tomei e, seppur in pochissimo tempo Evan Rachel Wood. Visto che il film ha vinto il festival di Venezia quattro mesi viene da chiedersi che fine abbia fatto, dato che ancora non è annunciata alcuna uscita italiana, anche se forse è il caso di iniziare a preoccuparsi.
9,5/10

El orfanato. The orphanage. Juan Antonio Bayona


L'ennesima storiellina che mischia fiaba e horror, che cerca di spaventare senza eccedere, che non esagera coi colpi di scena e cerca un finale originale ma comunque straprevedibile. Così ho trovato The orphanage, noioso, prevedibile e nel complesso completamente inutile. Non ci ho visto nessuno spunto, da nessun punto di vista, che possa essere minimamente interessante. Eppure sapevo che era presentato da Guillermo del Toro, era quello l'indizio che mi doveva far capire che non dovevo neanche provare a vederlo.
4/10

Frost/Nixon. Ron Howard


Il ritorno alla regia di Ron Howard, dopo il poco riuscito Cinderella Man, affronta uno dei casi televisivi più importanti degli anni 70. L'intervista che il presidente dimissionario Richard Nixon rilasciò a David Frost, presentatore televisivo alle prese con la sua prima intervista politica. L'attesa per l'intervista era altissima, Nixon puntava a riabilitare la sua figura, Frost a creare uno spettacolo che attirasse il maggior numero di spettatori e che lanciasse definitivamente la sua carriera giornalistica. Il film segue nella prima parte la nascita dell'idea dell'intervista, con piccolissimi spunti documetaristici, ma comunque rimanendo quasi esclusivamente fiction, e ci presenta i personaggi, oltre a Frost e Nixon, anche i loro più stretti collaboratori, caratterizzandoli in modo però piuttosto approssimativo. La seconda parte è più incentrata sui quattro giorni di intervista, mentre spazio minore è concesso a quel che succede poco. La confezione di Howard è come al solito di spessore, la sceneggiatura, pur carente nelle caratterizzazioni di alcuni personaggi, è discreta, pur rimanendo piuttosto lineare e mai veramente in grado di coinvolgere in pieno lo spettatore. Nella sfida tra gli attori la vittoria spetta di sicuro a Frank Langella, che ci presenta un Richard Nixon che inizia a rendersi conto dei disastri della sua presidenza, non limitandosi ad imitarlo, ma anche riuscendo a reinterpretarlo. Bravo comunque anche Michael Sheen, anche se il suo David Frost non è certo indimenticabile. Bello, da sentire in originale, il gioco degli accenti, l'inglese di Frost e l'americano di Langella. Nel complesso un film abbastanza interessante, che ci offre un ritratto dell'America che entrerà da li a qualche anno nell'era di Reagan, parlandoci di una delle figure presidenziali più negative di sempre, almeno finchè non è arrivato George W.
6,5/10

Revolutionary Road. Sam Mendes


In Revolutionary Road ci sono due grandi ritorni, entrambi molto attesi. Quello principale, rivedere Leonardo Di Caprio e Kate Winslet lavorare assieme dieci anni dopo Titanic, e quello non meno rilevante di Sam Mendes, il quale torna al tema della crisi familiare, come nel suo capolavoro American Beauty, anche se qui cambia completamente ambientazione e tono del racconto, pur mantenendo un'evidente impostazione teatrale. In Revolutionary Road siamo nel 1955, Frank e April sono una giovane coppia con figli, benestante, anche se entrambi non amano le proprie vite. Il lavoro di Frank è noioso e April non ama dover stare a casa, frequentando soltanto amicizie noiose, senza che nella sua vita accada mai nulla di veramente interessante. Tutto potrebbe cambiare quando la coppia decide di lasciare tutto per cercare di andare in Europa. Dopo questa decisione la coppia sembra ritrovare il proprio feeling, da tempo perduto e April, che era quella più sofferente per la situazione, appare finalmente felice. Mendes si concentra soltanto su una piccola parte della vita dei protagonisti, piccoli flashback ci riportano a momenti felici del passato, ma sono momenti poco approfonditi. Si concentra sulla crisi, facendo affrontare i propri personaggi in duelli verbali costruiti magnificamente e nei quali gli attori danno il loro meglio. I dialoghi sono straordinariamente curati, la regia di Mendes è ottima, ma sono eccezionali le prove dei due protagonisti, sopratutto Kate Winlset, qui in una delle sue interpretazioni più intense e riuscite, ma anche Di Caprio è eccellente come al solito. Anche a livello tecnico il film eccelle, costumi, scenografia e fotografia sono di gran livello e anche la colonna sonora funziona piuttosto bene. Volendo cercare qualche pecca, ho trovato che la prima parte sia meno riuscita dell'intensissima ultima mezzora ed è forse questo che non fa arrivare il film al capolavoro, ma lo fa essere un film di eccezionale fattura, cui per una lunga parte manca un pò un'anima.
8/10

mercoledì 24 dicembre 2008

Top 20

chiaramente ci sono alcune mancanze, anche perchè vedere tutti ma proprio tutti i film è complicato, ma credo possa essere una classifica abbastanza attendibile.
i film sono quelli usciti in italia nel 2008.

20 Once. Carney
19 Cargo 200. Balabanov
18 The darjeeling limited (il treno per il darjeeling). Anderson W.
17 Cloverfield. Reeves
16 Rec. Plaza, Balaguerò
15 Lars and the real girl. (lars e una ragazza tutta sua). Gillespie
14 Non pensarci. Zanasi
13 Tutta la vita davanti. Virzì
12 Happy-go-lucky (la felicità porta fortuna). Leigh
11 La graine et le mulet (cous cous). Kechiche
10 Rachel getting married (rachel sta per sposarsi). Demme
9 Wall-E. Stanton
8 The happening (e venne il giorno). Shyamalan
7 Slumdog millionaire (the millionaire). Boyle
6 Gomorra. Garrone
5 Juno. Reitman
4 The dark knight. Nolan
3 There will be blood (il petroliere). Anderson P.T.
2 Il divo. Sorrentino
1 Le scaphandre et le papillon (lo scafandro e la farfalla). Schnabel

mercoledì 17 dicembre 2008

Gli ultimi ascolti


These new puritans. Beat pyramid. Rapido e ruvido, un esordio assolutamente interessante per il gruppo londinese. Influenze new-wave, per certi versi anche hip-hop, non troppo spazio per la melodia, tutti i pezzi rapidi ed efficacissimi. Un briciolo inevitabile di ripetitività non rovina sicuramente il disco.

Vampire weekend, id. Altro esordio, questa volta siamo a New York, i ragazzi vengono dalla Columbia university. Il disco è un ottimo album indie, con suoni che rimandano all'Africa mischiati in un'atmosfera quasi, in certi pezzi, folk. La world music non c'entra nulla, ed è una fortuna, rimane un disco freschissimo, lontano dalla new wave imperante, spesso banalotta, di questi ultimi tempi.

Los Campesinos, We are beautiful, we are doomed. A otto mesi di distanza dal primo album, dal quale ci si aspettava sinceramente di più, il gruppo gallese torna con quello che è un album di livello decisamente superiore. Molto più compatto, riuscito, un ottimo indie pop rock, melodico e ballabile, appena 8 ottime canzoni, con le due voci che si intrecciano perfettamente in quello che preferiamo ritenere il vero esordio dei Los Campesinos.

TNP 7,5/10
VW 7/10
LC 8/10

lunedì 15 dicembre 2008

Censura


Quando la televisione nazionale riesce a censurare, si proprio censurare, un film che ha vinto 4 oscar, tra cui miglior regia, il golden globe, il leone d'oro, non si capisce proprio per quale motivo si debba pagare il servizio pubblico.

N.B. Il film ha avuto il divieto ai minori di 14 anni. A parte la ridicolaggine del divieto, dato che non si ritrova all'interno nessun motivo per giustificarlo, l'orario di messa in onda dava assolutamente la possibilità alla Rai di trasmetterlo senza alcun taglio, che sarebbe stato comprensibile ma non giustificabile cinquant'anni fa. Purtroppo siamo un paese puritano, ipocrita e bigotto. E lo dimostriamo ogni giorno di più.

Codice etico nella politica italiana..


Riporto volentieri il testo dal blog di Ivan Scalfarotto. E' stato redatto da Pippo Civati, Michele Dalai e Ivan Scalfarotto.


Per poter entrare a far parte dello staff di Obama bisogna rispondere a 63 domande molto precise sulla propria carriera, gli incarichi ricoperti, le partecipazioni a società, gli elementi di un possibile conflitto di interessi, le proprie attività in ambito associativo, sindacale, di categoria.
Informare circa le proprie attività finanziarie, le proprietà di cui si dispone, la propria situazione fiscale (ed eventuali mancanze e debiti contratti e multe ricevute), gli eventuali procedimenti amministrativi o legali nei quali si è (o si è stati) coinvolti.
E ciò vale per sé e per la propria famiglia, a cominciare dalla propria compagna o dal proprio compagno. Domande che riguardano anche le modalità di assunzione della persona che aiuta in casa, sia una colf o una badante, il rispetto del pagamento dei contributi dei dipendenti, il possesso di armi. Un'autocertificazione di grande serietà, in cui indicare tutto di se stessi, per evitare che l'amministrazione eletta sia in qualsiasi modo toccata o messa in imbarazzo.
Ora, non è probabilmente il caso di passare dal modello del «non fa niente» attualmente vigente in Italia a domande così numerose, ficcanti e circostanziate. Ma non sarebbe male introdurre un piccolo codice etico di ingresso, con informazioni da rendere note al partito che ti candida e agli elettori che ti sceglieranno (soprattutto se le liste, come nel caso delle politiche, sono bloccate). Cinque cose da dichiarare, perché tutti sappiano chi votano e di cui chi si candida si assume tutte le responsabilità.
Cinque regole per non avere imbarazzi, né da parte del candidato, né da parte degli elettori. Per esempio queste:
1. Dichiarare gli incarichi lavorativi, le associazioni a cui si aderisce, l'attività politica e sindacale svolta.
2. Dichiarare eventuali precedenti con la giustizia o con il fisco, segnalando il reddito proprio e della propria famiglia, nonché le proprietà di cui, direttamente o indirettamente, si dispone.
3. Dichiarare di essere in regola con tutte le norme che riguardano il mercato del lavoro e i diritti dei lavoratori, per i propri collaboratori, le persone che lavorano per la propria azienda o presso la propria abitazione.
4. Dichiarare gli eventuali elementi che possono comportare un conflitto di interessi nella gestione del proprio mandato e le modalità con le quali si intende ovviare all'insorgenza di queste problematiche.
5. Dichiarare i principali sottoscrittori della propria campagna elettorale, a partire da cifre superiori ai 1000 euro.
E' il caso di ricordare che gran parte di queste informazioni sono date dagli eletti all'ente pubblico di riferimento, e che questi dati sono pubblici e accessibili. L'evoluzione migliore sarebbe quella di produrre questa documentazione all'inizio della vicenda elettorale, perché non vi siano sorprese per nessuno. Un'anamnesi preventiva può evitare spiacevoli complicazioni dopo il voto.

Pranzo di ferragosto. Gianni Di Gregorio


Pranzo di ferragosto ricevette a Venezia una grande accoglienza. La storia è molto semplice; un uomo maturo vive a casa con la madre, ha pochi soldi e vari debiti e quindi si trova costretto a ospitare a Ferragosto le madri di alcuni conoscenti con cui è in debito, l'amministratore del condominio, che oltre la madre gli rifila anche una zia e il medico. L'uomo si ritrova quindi a dover gestire quattro arzille vecchiette, tutte con i propri capricci e i propri vizi, da chi vuole assolutamente uscire la notte a chi pretende di mangiare nonostante la salute non sia brillante. Gli attori sono sicuramente simpatici, la regia discreta, ma il giochino stanca molto in fretta, nonostante il film sia molto breve. Peccato, perchè l'idea è sicuramente simpatica, ma manca qualsiasi acuto che lo renda veramente interessante.
5/10

Låt den rätte komma in. Let the right one in (Lasciami entrare). Tomas Alfredson


Due bambini sono i protagonisti. Oskar è piuttosto solitario, subisce i bulli, senza riuscire a reagire, Eli non è propriamente una bambina di dodici anni, nasconde un segreto, che scopriamo abbastanza in fretta. Lo scenario è quello della periferia di Stoccolma qualche decennio fa, desolante, costantemente fredda e innevata. Oskar e Eli diventano amici, sono soli, hanno un carattere simile, si intendono bene, pur con i loro problemi e i loro segreti. L'amicizia aiuterà Oskar, gli farà acquisire una maggiore fiducia in se stesso, una maggiore abilità ad affrontare le situazioni della vita. La vicenda viene raccontata senza eccessi, senza un particolare uso della violenza, che sarebbe stato inutile e controproducente, ma anzi con grande semplicità e tenerezza, accompagnando il tutto con una colonna sonora mai invadente, ma spesso presente e tra l'altro bellissima. La fotografia è notevolissima, la regia buonissima, i due protagonisti bravissimi. Un film sui vampiri, di sicuro, ma con un linguaggio che non siamo abituati a vedere, tenerissimo, quasi commovente, lontanissimi da qualsiasi tentazione splatter. Dalla Svezia uno dei migliori film dell'anno.
9/10

venerdì 5 dicembre 2008

the futureheads. this is not the world


l'inizio del disco è brillante, the beginning of the twist è un singolo di buon livello, il ritmo è buono, è piuttosto accattivante. walking backwards anche segue la strada, è un altro pezzo discreto, ma inizia a ravvisarsi una certa ripetitività e quelli che erano sospetti iniziano a materializzarsi definitivamente a partire dalla terza traccia think tonight. il resto del disco prosegue senza acuti, con un sound sempre uguale, richiamando tanti altri, troppi, gruppi. kaizer chiefs su tutti, e non è certo qualcosa di cui andare fieri. per fortuna almeno alla fine del disco arriva sleet, forse il pezzo più riuscito dell'intero disco, veloce e molto orecchiabile, non salva this is not the world, ma almeno lo aiuta a non andare troppo lontano salla sufficienza.
5+/10

giovedì 4 dicembre 2008

Un attimo sospesi. Peter Marcias


Una grande città fa da sfondo alle vicende narrateci in Un attimo sospesi. Dentro questa città, inghiottiti, vivono una serie di personaggi, ognuno con i suoi problemi, le sue individualità, le sue speranze. Achille gestisce un negozio di alimentari, porta la sua spesa ai suoi clienti, ha un grosso problema però, non reisce a stare se non pochi minuti nei luoghi chiusi. Per questo ha seri problemi a relazionarsi con la sua inquilina, Francesca, una ragazza molto bella e gentile, che cerca di capirlo, anche se non è facile. Lidia è una fotografa, vive col figlio Joe in un bel palazzo, non riesce però a legare con la madre, con la quale si intuisce che ha un rapporto conflittuale da molto tempo. Nello stesso palazzo vive un professore di astronomia in pensione, un uomo che non esce mai di casa, il perfetto contraltare di Achille. Fuori città in una roulette si sviluppa la vicenda di Esther, una ex cantante, il cui fratello prova a convincere a tornare in città e che rifiuta le proposte di un'impresaria che cerca di convincerla a tornare in Ucraina, dove è ancora molto famosa. Proprio mentre i personaggi vivono le loro strane esistenze, sfiorandosi, a volte incontrandosi, arriva la notizia di un terribile attentato, cui seguirà forse una guerra.
La sceneggiatura è molto abile nel descriverci e caratterizzarci i numerosi personaggi, evita le banalizzazioni e le forzature, inevitabili spesso nei film corali come questo, pecca però un pò nella vicenda dell'attentato, pur rimanendo comunque molto positiva.
Bravo il regista, Peter Marcias, qui al suo primo lungometraggio di fiction, dopo vari corti, un film corale e un documentario. Bravo nella direzione degli attori e nelle scelte registiche mai banali. Di buonissimo livello il cast, decisamente affiatato, tra cui si segnala un bravissimo Rosario Lisma, nel ruolo di Achille, Fiorenza Tessari, nel ruolo di Lidia, Ana Caterina Morariu nel ruolo di Francesca e un sempre ottimo Paolo Bonacelli nel ruolo del professore.
Ottime sono poi la fotografia di Marco Onorato e la colonna sonora di Fabio Liberatori.
7/10

giovedì 27 novembre 2008

Cargo 200. Aleksei Balabanov.


Unione Sovietica. 1984. Il regime è ormai prossimo alla dissoluzione. Un professore di ateismo di stato all'università di Leningrado, il fratello, dirigente dell'esercito, un poliziotto folle, un produttore clandestino di vodka, la figlia del segretario regionale del partito comunista sono i protagonista di questa vicenda allucinante e allucinata, ambientata tra Leninsk e la sua periferia, nella Siberia meridionale. La dissoluzione dell'Unione Sovietica sembra dissolvere con se stessa i suoi abitanti, spingendoli a una follia, spesso immotivata e incomprensibile e creando un mondo fatto unicamente di folli, ubriachi e vittime. Breve, ed è un gran merito, perchè non aveva senso dilungarsi ulteriormente, è un film assolutamente spietato nel suo svolgimento, un pugno nello stomaco durissimo, una rappresentazione allucinante, ma probabilmente verissima, di quella che era l'Urss negli anni 80. Buonissima la sceneggiatura, ispirata a fatti realmente accaduti, bravissimo Balabanov nella direzione degli attori e nelle scelte registiche, raramente banali. Ottimo il cast, nel quale spiccano un allucinato Aleksei Poluyan e una bella e bravissima Agniya Kuznetsova.
Tra le cose migliori dell'anno.
8,5/10